Sovranità, libertà, piena
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La crisi
economica è finita ? Alcuni dati. (di Marco Cavedon,
postato il 14/11/2017). Sovente si sente affermare da parte
del governo e dei media che la crisi è finita. Ma sarà vero ? Possibile che nonostante le politiche
di austerity imposteci dall’Europa e applicate diligentemente dalla classe
politica dominate le cose effettivamente non vadano poi così male ? Un’attenta analisi degli stessi
dati del governo sembra smentire categoricamente questa ipotesi. Vediamoli insieme. I seguenti grafici sono presi dal
sito DIPE (cioè del Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento
della Politica Economica) e dal sito di finanza Trading Economics,
che raccoglie ed aggiorna costantemente i dati dei più importanti istituti di
statistica di tutte le nazioni. Il grafico di cui sopra rappresenta
il numero totale di persone
disoccupate. Come si vede l’andamento è tutt’altro che positivo e dal
2015 praticamente la disoccupazione non scende. Vediamo al contrario che il
picco di disoccupazione si ebbe proprio col governo Renzi
nel 2014. Il grafico di cui sopra invece
rappresenta la disoccupazione a lungo termine (persone senza lavoro da un
anno o più, un dato pertanto ancora più drammatico rispetto il precedente,
calcolato su base mensile). Anche qui notiamo che essa cala sensibilmente
dopo il 2014, per poi però appiattirsi ad un valore pressoché costante. Questo grafico e quelli a seguire
sono presi invece dal sito del DIPE (dati aggiornati al 05 ottobre 2017). Il dato
sopra riportato rappresenta il PIL (il reddito interno) su base trimestrale.
Come si vede, siamo ancora ben lontani
dai livelli pre-crisi, quado il PIL trimestrale era maggiore di 25 miliardi
rispetto ora. Come mai tuttavia questa lieve ripresina dopo il 2014 ? E’
veramente sintomo di creazione di maggiore benessere per la popolazione ?
Tenete bene a mente il dato precedente della disoccupazione per capire come a
maggiore PIL non corrisponda affatto necessariamente più lavoro e ricchezza
per i residenti. In seguito vedremo un’altra cosa molto interessante. Ma veniamo ora al dato della
produzione industriale, che dovrebbe stare particolarmente a cuore agli
imprenditori. Anche qui l’andamento è alquanto
deludente; dopo il 2015 si assiste ad una insignificante ripresa, che non è
sufficiente per parlare di andamento positivo dato il tonfo realizzato a
seguito della crisi economica del 2008 e dopo le misure lacrime e sangue del
“salvatore” Mario Monti. Ora iniziamo ad andare oltre i dati
che i media quotidianamente ci presentano per farci credere che tutto vada
bene. Un PIL che aumenta non significa
che la maggior parte della popolazione sia diventata più benestante, così
come una maggiore occupazione non significa che siamo tutti più ricchi
perché questo dato non considera i lavori precari, di poche ore e mal
retribuiti. Vediamo infatti nel grafico sopra
che la percentuale delle famiglie
povere presenta un andamento nettamente ascendente e ciò vale addirittura
per il “ricco” nord Italia. Il grafico di cui sopra invece rappresenta l’andamento della
cosiddetta povertà relativa, che si differenzia dalla povertà assoluta in
quanto si basa su una soglia di valore di spesa per consumi che varia solo in
base al numero dei componenti di un nucleo famigliare e non è differenziata
per regione geografica, dimensione del comune di residenza o età dei
componenti del nucleo. Anche in questo caso nel tempo si verifica un
sostanziale aumento della povertà. Il grafico sopra invece ci dà il prospetto dell’aumento della povertà per le famiglie numerose (con tre e più
figli minori). Della serie, ci viene detto di fare più figli ma non ci
vengono date le risorse per farli crescere in condizioni dignitose. Tirando le somme, da tutti i dati di cui sopra abbiamo visto che
l’andamento dell’economia italiana è tutt’altro che roseo come ci viene
dipinto. Ma da dove deriva allora la tanto sbandierata ripresa del PIL, che
in verità si attesta su valori molto inferiori rispetto a quelli pre-crisi ? Semplice, non certo dalla domanda interna (che in rapporto al PIL è in
diminuzione, vedi qui),
causa l’aumento della povertà e la diminuzione degli stipendi (a loro volta
dovuti alle politiche di austerity imposteci dall’Europa), ma bensì dalla domanda estera. Tolta la linfa della domanda interna (causa la riduzione del deficit
pubblico), l’unico modo per aumentare il reddito complessivo interno è quello
di fare affidamento sulla domanda estera, cosa che l’Italia ha regolarmente
fatto a partire dall’inizio degli anni 2010, con un contenimento delle importazioni a favore delle esportazioni,
ossia della vendita a basso prezzo all’estero di beni reali dei quali la
nostra popolazione non godrà. Come è stato possibile diventare competitivi nei mercati esteri ? Semplice; privati della possibilità di svalutare la moneta, ora possiamo solo fare affidamento
sull’abbassamento dei salari, cosa che l’Italia ha regolarmente fatto a
partire dalla crisi economica del 2008 (vedi sotto). E quali sono per le piccole e medie imprese italiane e per il nostro
sistema bancario le conseguenze di continuare a voler permanere nell’eurozona
ed applicare politiche di contenimento della spesa pubblica (che costituisce
al centesimo il reddito privato) ? Anche qui il risultato è palese. Le conseguenze sono state la progressiva diminuzione dei crediti al
settore privato, accompagnata dall’aumento dei prestiti divenuti inesigibili
(vedi sotto) che hanno causato la crisi del settore bancario di cui oggi
sentiamo spesso parlare, non certo dovuta semplicemente a funzionari corrotti
e profittatori (questi ahimè ci sono sempre stati), ma al “bel” sistema
economico nel quale continuiamo nonostante tutto a voler permanere. Fonti: http://www.programmazioneeconomica.gov.it/2017/10/05/andamenti-lungo-periodo-economia-italiana/ Comment
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